Le autorità polacche bloccano il processo interno di ratificazione del trattato anti- contraffazione. Quelle slovene si scusano coni cittadini per aver firmato a Tokyo. Si muovono gli attivisti, il Partito Pirata britannico e Anonymous Roma - Il Vecchio Continente sembra ormai piombatonel caos,a pochi giorni dallaratifica del famigerato Anti-Counterfeiting Trade Agreement (ACTA).Ovvero il trattato anti-contraffazione che vorrebbe estendere a livello globale la tutela della proprietà intellettuale e industriale. Un'Europa sempre più divisa, in attesa del voto parlamentare previsto per il prossimo giugno.A premere il grilletto sono state le autorità polacche, con il premier Donald Tusk ad annunciare una clamorosa marcia indietro dopo gli incontri di Tokyo. Il processo interno di ratificazione di ACTA verrà di fatto sospeso, gettando più di un'ombra sulla possibile introduzione delle misure anti-contraffazione nel tessuto legislativo del paese.Lo stesso Tusk ha sottolineato come lo stato attuale nello studio di ACTA non porti a risultati sufficienti per la sua implementazione a livello nazionale. Problematiche legate alla privacy dei cittadini polacchi, al di là dell'esigenza di tutelare il diritto d'autore piuttosto che il trademark.
Secondo il premier, le indagini sul testo del trattato dovranno continuare nel corso dei prossimi mesi.Una (cauta) marcia indietro è stata fatta anche da Helena Drnovsek Zorko, ambasciatore sloveno in terra giapponese. In un recente comunicato, Zorko ha praticamente chiesto scusa per "aver compiuto il mio dovere ufficiale, ma non quello civico". "Non so quante possibilità ci fossero per evitare di firmare - ha continuato l'ambasciatore sloveno - ma avrei potuto provarci. E non l'ho fatto".Nel frattempo, il vento di protesta continua a soffiare senza sosta. I netizen comunitari hanno portato quasi 2 milioni di firme alla petizione lanciata dagli attivisti contro il trattato anti-contraffazione. I rappresentanti del Partito Pirata britannico sono attualmente in fermento per tre manifestazioni previste sabato prossimo a Londra, Glasgow e Nottingham.Non manca il solito contributo del collettivo Anonymous, che ha scatenato un nuovo attacco DDoS contro il sito di Prophon, associazione che in Bulgaria rappresenta gli interessi delle grandi major del disco. Mentre i parlamentari del gruppo Citizens for European Development of Bulgaria (CEDB) hanno già anticipato il proprio voto - negativo - per le consultazioni del prossimo giugno.Sono poi nate nuove polemiche sulle dichiarazioni dei commissari Neelie Kroes e Viviane Reding sulla bontà delle misure previste da ACTA. Che a parer loro non andrebbero assolutamente a limitare i diritti dei netizen comunitari. Un documento pubblicato da La Quadrature du Net ha mostrato come le autorità europee stiano preparando una morsa in stile SOPA/PIPA, in particolare rivedendo la direttiva IPRED.Mauro Vecchio
mercoledì 31 agosto 2011
Asor Rosa e il colpo di Stato di Monti
pubblicata da Pietro Ancona il giorno domenica 5 febbraio 2012 alle ore 18.27
Asor Rosa e il colpo di Stato di Monti
Nell'aprile dell'anno scorso il professore Asor Rosa scrisse un esplosivo articolo sul Manifesto con il quale si invitavano i carabinieri a fare un colpo di Stato per cacciare via Berlusconi. La proposta nasceva dalla considerazione che non esistevano in Italia le condizioni di un rivolgimento popolare, insomma di una rivoluzione capace di costringere Berlusconi ad abbandonare il governo. Disse ancora il professore Asor Rosa che una forzatura era necessaria per salvare la democrazia. Questa riflessione mi ha ricordato Giuliano Ferrara che sul Foglio parlando di Pinochet e della dittatura che aveva instaurato in Cile ebbe a dire che si è trattato di un servizio reso alla democrazia che sarebbe stata ripristinata dopo lunga parentesi del governo dei militari.
Naturalmente, l'uscita del professore Rosa era dovuta allo stato di disperazione a cui era stata ridotta la sinistra italiana incapace di fronteggiare adeguatamente Berlusconi ed il berlusconismo. Ma la sua originale proposta era sbagliata per almeno due ragioni: la prima è che le forze armate italiane, i carabinieri e la polizia non hanno una tradizione ed una cultura democratica tanto forte da far compiere loro un gesto di radicale disobbedienza allo Stato al quale sono legati da un obbligo di fedeltà assoluta. Le elites militari italiane hanno una storia alle spalle che è tutt'altro che democratica e ci sono stati periodi anche recenti della nostra storia in cui hanno tramato contro la Repubblica. L'altro errore quello radicale di Asor Rosa era di non tenere in nessun conto il contesto internazionale. Non si è reso conto che tutti gli atti del governo Berlusconi erano fortemente omologati alla involuzione che il centro destra ha realizzato in Europa e nel mondo. Di italiano e di suo nella politica di Berlusconi c'era la questione della giustizia e delle leggi ad personam ma che comunque hanno avuto possibilità di realizzarsi perchè interne ad una involuzione di tutto il quadro politico italiano. L'idea della repubblica presidenziale e della riforma della Costituzione anche nella sua prima parte non è soltanto della destra italiana ma anche della cosidetta sinistra termine improprio per indicare il PD. C'è stato quindi un grosso difetto di analisi ed anche una straordinaria ingenuità nella proposta di golpe "buono" del professor Rosa.
A distanza di qualche mese qualcuno collocato molto in alto nel mondo ha pensato alla possibilità del golpe in Italia e lo ha realizzato con rara maestria e con il consenso del Parlamento che ne è stato travolto e svuotato. La nomina del Prof.Monti e del suo governo tecnico è stata minuziosamente preparata e realizzata per cacciare via Berlusconi dal governo assicurando una uscita di destra alla crisi politica italiana. Berlusconi è stato costretto a dimettersi dalle manovre sui titoli di Mediaset che avevano lo scopo di allarmarlo e di avvertirlo a non fare resistenza. Il governo Monti prosegue e porta avanti c on estrema durezza quanto era nel programma di Berlusconi. E' una destra pura allo stato tatcheriano che si è liberata di quanto di populistico e di democristiano e di osceno ci potesse ancora essere nel governo Berlusconi. Non è un caso che il Pdl pur con qualche maldipancia sostiene ad oltranza il governo Monti specialmente nella questione dell'art.18 e cioè "la soluzione finale" per la classe operaia che finora non si era riusciti a fare.
La sostituzione di Berlusconi è maturata dopo la guerra libica che ha privato l'Italia di un fondamentale polmone economico a vantaggio della triade USA,GB e Francia che ha voluto e fatto la guerra costringendoci a combattere contro i nostri vitali interessi.
La "sinistra" italiana specialmente la più integrata nell'occidente imperialistico come il partito de "la Repubblica" accecata dall'ossessione di Berlusconi non ha visto che l'algido professore che lo sostituisce rappresenta un capolavoro politico della destra euroatlantica
che consiste nel recupero e rilancio del liberismo più aggressivo in una veste perbenista e presentabile.
Anche questo capitolo della storia d'Italia si è c hiuso con una sonora sc onfitta dovuta al berlusconismo che si è impadronito dell'opposizione parlamentare. Non si può combattere il liberismo facendo i liberisti. Quindi tutto si è ridotto nell'allontanamento di una persona imbarazzante per creare uno spazio di maggiore agibilità per la grande destra capitalistica e finanziaria.
C'è un paese molto migliore di come lo dipingono i cortigiani di Arcore
L'Italia non si merita Silvio Berlusconi di Filippo Rossi
L’Italia non si merita Silvio Berlusconi. Non si merita un leader (politico?) che non vuole prendersi le responsabilità di fronte all’evidenza. Che per difendere il suo potere mette in gioco il buon nome della nazione che dovrebbe rappresentare “con onore e disciplina”, come impone la nostra carta costituzionale.
Gli italiani non si meritano Silvio Berlusconi, nemmeno quelli che ancora credono disperatamente in lui, come salvatore di una patria minacciata da chissà chi o chissà cosa. L’Italia non merita un politico che ha fatto del suo ruolo pubblico un affare privato. Non meritano di essere infangati, tutti, nella loro dignità, nella loro onorabilità.
Gli italiani non meritano tutto questo. Non meritano tutto questo gli italiani che non l’hanno votato e non hanno creduto in lui. E non meritano tutto questo nemmeno gli italiani che l’hanno votato sognando un paese più liberale e più moderno e oggi si ritrovano nel bel mezzo di una satrapia con uomo solo al comando, che pretende l’insindacabilità del suo agire. Questi ultimi sono i primi ad essere stati traditi da un uomo che ancora li utilizza e li strumentalizza per difendere se stesso e il suo sistema di potere economico e mediatico. Questi ultimi sono i primi a essere stati traditi da chi, ancora oggi, anche di fronte all’insopportabile e all’indifendibile, continuano a difenderlo con evidente malafede, solo per salvaguardare scampoli di potere.
L’Italia non si merita Silvio Berlusconi. E Silvio Berlusconi non è degno di un popolo che, con certezza, è assai migliore di come i cortigiani di Arcore vorrebbero farci credere, di come fanno credere al mondo intero. Non è questione di destra o sinistra, di laici o cattolici. È questione di un paese che deve prendersi le giuste responsabilità per difendere la propria reputazione. Che ha l’obbligo morale di dimostrare a se stesso e al mondo intero che quell’uomo, quell’individuo, non può più essere un simbolo per nessuno. Ne va del nostro onore. Ne va dell’onore di un popolo che non può più sopportare tutto questo.
Siamo vivi, vivi! Siamo usciti dalle catacombe. Siamo sopra e oltre.
Sopra al nulla della politica, oltre questa civiltà basata sul denaro e sul consumismo. Sopra e oltre. Io ci credo, voi ci credete. La Rete ci ha unito. Possiamo cambiare la società, il mondo solo se lo vogliamo. Cosa abbiamo da perdere? Ognuno vale uno. Chiunque di voi può fare la differenza, essere un leader.
Ognuno è un leader se riesce a trasformare i suoi sogni in realtà. Oggi, qui, ci sono migliaia di ragazze e di ragazzi.
Siete l’avanguardia di una Nuova Italia, un posto più bello di questo, onesto, più leggero, senza odi, senza mafie. Voi avete il vostro destino nelle mani, non fatevi comprare, non perdetevi dietro a falsi valori.
Quando vi ricorderete di Woodstock, magari tra trent’anni, e vi domanderete cosa avete fatto per voi e per gli altri, che cosa vi risponderete? Cosa direte ai vostri figli? Potrete guardarvi allo specchio?
Noi siamo vivi in un Paese di morti, di vecchi che occupano ogni spazio e si credono eterni, che si nutrono di potere e si sono fottuti la vita. Noi non siamo in vendita, non siamo merce, non crediamo a una società basata sul profitto, sul PIL. Vogliamo tutto perché non abbiamo più niente.
Non l’aria pulita, non l’acqua pubblica, non una scuola di eccellenza, neppure la sicurezza di un lavoro e quando lavoriamo la sicurezza di non morire sul lavoro. Gli operai di oggi sono al fronte, sono loro i partigiani che combattono per dare da mangiare ai loro figli e muoiono come topi nelle cisterne.
L’Italia non è una democrazia, il cittadino non è rappresentato in Parlamento, non può votare il proprio candidato. Il Parlamento è eletto dalla mafia, dalla massoneria, dai vertici dei partiti, non dai cittadini.
Sei persone decidono per tutto il Paese. L’Italia è un sistema capitalistico/mafioso con le pezze al culo, basato sul debito pubblico e sulle concessioni dello Stato. Ogni italiano è indebitato per 30.000 euro.Il debito aumenta di 100 miliardi di euro all’anno, stiamo andando verso il default.
Quando i soldi contaminano la politica, la politica diventa merda, si fa politica per i soldi, non per servizio civile, come dovrebbe essere. Il MoVimento 5 Stelle non vuole i soldi, vuole poter volare alto, far volare le sue idee. Non ha ideologie, ma idee. I partiti prendono un miliardo di euro di finanziamenti elettorali nonostante un referendum che li abbia proibiti, nessuno si scandalizza, passano tutti all’incasso.
L’equazione è semplice senza soldi spariscono i partiti, sono fatti di soldi, di niente. Che dignità può avere un parlamentare che matura la pensione dopo due a anni e mezzo di fronte a milioni di persone che la pensione non la vedranno mai, che moriranno prima di andarci, che devono maturare 40 anni di contributi?
Ci sono voluti tre anni perché la proposta di legge Parlamento Pulito venisse discussa alla Commissione del Senato. Tre anni, trentasei mesi, più di mille giorni perché quattro senatori muovessero il culo per ascoltare 350.000 cittadini che al rimo Vday di Bologna chiedevano delle cose semplici, scontate in un Paese appena normale: nomina diretta del candidato, due legislature, nessuno condannato in via definitiva. Ci hanno definiti populisti, demagoghi, qualunquisti, violenti, volgari solo perché volevamo riaffermare il principio di democrazia in questo Paese.
I partiti sono morti, zombie che camminano, strutture del passato, costruzioni artificiali. Sono diventati barriere tra le persone e lo Stato. Lo Stato siamo noi, non i partiti. E’ finito il tempo della delega in bianco.
Il cittadino deve entrare nelle istituzioni come servizio civile per un periodo limitato e poi tornare alla propria attività. Non esiste il politico di professione, esistono i mantenuti a vita di professione come Chiamparino, Fassino, D’Alema, come Maroni, Bossi e tutta la sua grande famiglia, come Andreotti, il prescritto per mafia che ha detto di Ambrosoli, uno dei pochi eroi di questo Paese, “Se l’è cercata!”.
Noi siamo vivi e loro sono morti, in decomposizione, se li tocchiamo moriremo anche noi. Parlano di alleanze, di percentuali, di schieramenti, ma in realtà parlano sempre e soltanto di una cosa: come conservare il loro potere. Il MoVimento 5 Stelle farà alleanze, anche una al mese, una alla settimana, ma solo con i cittadini, con i movimenti per l’acqua pubblica, per una libera informazione non finanziata dallo Stato, contro la TAV in Val di Susa, contro le centrali nucleari, contro la base americana di Dal Molin. L’Italia ripudia la guerra e spende più per armamenti che per opere di pace. Persino Bono degli U2 ci ha mandato a fanculo, non manteniamo le promesse di aiuti umanitari e spendiamo 15 miliardi di euro per 131 caccia bombardieri dagli Stati Uniti, finanziamo la più grande industria bellica del mondo e chiudiamo le scuole.
Il MoVimento 5 Stelle ha preso mezzo milione di voti senza finanziamenti, senza media, giornali, televisioni, ogni voto è costato solo 8 centesimi al MoVimento, nulla ai cittadini, grazie alla Rete, al passaparola. La Rete è anticapitalista, la politica si fa con le idee, non con il capitale.
Il portale del Movimento 5 Stelle è il luogo di incontro, di creazione delle idee, della condivisione delle proposte. Chiunque non sia già iscritto a un partito può iscriversi gratis. Gli iscritti potranno creare una lista civica, proporre un candidato e in futuro modificare il programma in stile Wikipedia, collegarsi in una rete sociale come in Facebook, scambiarsi esperienze. Gli iscritti al MoVimento 5 Stelle sono circa 100.000. 100.000 persone informate e motivate possono trasformare il Paese. Noi siamo “Altri” non esistiamo nei sondaggi, ma siamo gli unici ad avere un Programma creato in Rete, questo Programma va stampato, diffuso, discusso. Il MoVimento coincide con le sue proposte, con le sua azioni civili, con il suo Programma. Chi dice che facciamo proteste e non proposte è in malafede o un imbecille inconsapevole.
“Ora che il governo della Repubblica è caduto nelle mani di pochi prepotenti … ma chi, chi se è un uomo, può ammettere che essi sprofondino nelle ricchezze, che sperperino nel costruire sul mare e nel livellare i monti e che a molti manchi il necessario per vivere? Che costruiscano case e case l’una appresso all’altra e che molti non abbiano un tetto per la propria famiglia? Per noi la miseria in casa, i debiti, triste l’oggi e incerto il domani. Che abbiamo, insomma, se non l’infelicità del vivere?”
Non l’ho detto io, non è l’Italia di oggi, sono le parole di Catilina pronunciate nel 64 prima di Cristo a Roma. L’Italia non è cambiata in duemila anni, per questo può cambiare oggi, solo i pazzi credono nell’impossibile e noi siamo i pazzi della democrazia. Il MoVimento 5 Stelle è nato il giorno di San Francesco, 4 ottobre del 2009, Francesco era chiamato il pazzo di Dio, noi siamo i pazzi della democrazia. Crediamo sia possibile un mondo basato sull’equità sociale, sulla solidarietà, sul rispetto dell’altro, sul diritto alla felicità, in cui chiunque può volare.
Vogliamo tutto e lo vogliamo subito. Cosa abbiamo da perdere? Perché non crederci? Perché non lottare per il nostro futuro? Non abbiamo altro. Non abbiamo scelta.
Ognuno deve impegnarsi, ognuno conta uno.
Sopra e avanti.
Chi è sempre contento (I politici: tutti hanno vinto!). Brutta campagna elettorale, brutte votazioni, brutto futuro.
A me non resta che una "SMISURATA PREGHIERA"
Alta sui naufragi dai belvedere delle torri china e distante sugli elementi del disastro dalle cose che accadono al disopra delle parole celebrative del nulla lungo un facile vento di sazietà di impunità
Sullo scandalo metallico di armi in uso e in disuso a guidare la colonna di dolore e di fumo che lascia le infinite battaglie al calar della sera, la maggioranza sta.
La maggioranza sta recitando un rosario di ambizioni meschine di millenarie paure di inesauribili astuzie
Coltivando tranquilla l'orribile varietà delle proprie superbie la maggioranza sta, come una malattia come una sfortuna come un'anestesia come un'abitudine per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi per consegnare alla morte una goccia di splendore di umanità di verità.
per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli con improbabili nomi di cantanti di tango in un vasto programma di eternità.
Ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco... non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare è appena
giusto che la fortuna li aiuti come una svista come un'anomalia come una distrazione come un dovere
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Legittimo firmamento
di Marco Travaglio Le leggi vergogna si dividono in due categorie: quelle che servono a B. e le altre. Riconoscerle è facilissimo: quelle che servono a B., cioè le più incostituzionali, Napolitano le firma all’istante; le altre, quelle un po’ meno incostituzionali, no. Così B. vince sempre e gl’italiani mai. Un anno fa il presidente anticipò addirittura al Consiglio dei ministri riunito d’urgenza che non avrebbe firmato il decreto contro Eluana, raro caso di legge vergogna che non riguardava B. Così il premier fece bella figura col Vaticano, il Quirinale fece bella figura con gli italiani, e la bottega di Arcore non subì danno alcuno. Ieri il capo dello Stato, a quattro anni dalla sua elezione, ha rispedito al mittente la sua prima legge: il ddl sul lavoro (Repubblica l’aveva anticipato il 15 marzo, subendo una furibonda e incredibile smentita del Quirinale). E non perché lo ritenga “palesemente incostituzionale”, come i corazzieri della penna sono soliti interpretare l’art. 74 della Costituzione per dar sempre ragione al presidente firmaiolo. Ma semplicemente perché non gli piace: parla di “estrema eterogeneità, complessità e problematicità di alcune disposizioni”. Dunque, come abbiamo sempre sostenuto, il Colle può respingere alle Camere le leggi che non condivide. E, se non l’ha mai fatto fino a ieri, vuol dire che condivideva delizie come il mega-indulto esteso ai colletti bianchi (2006), il decreto Mastella per bruciare i dossier Telecom (2007), le leggi razziali del pacchetto sicurezza e il lodo Alfano (2008), lo scudo fiscale (2009) e il decreto salva-liste (2010). O almeno non le riteneva viziate da “problematicità” alcuna. Il che è curioso, ma perfettamente legittimo. Purché non ci venga a raccontare che era obbligato a promulgarle perché “non manifestamente incostituzionali” o perché “se non le firmo la prima volta me le rimandano uguali e devo firmarle la seconda”. Ieri infatti il governo ha annunciato che “modificherà il ddl sul lavoro tenendo conto delle osservazioni del Quirinale”: prima di arrivare allo scontro frontale con Napolitano riscrivendo tale e quale una legge appena respinta, B. ci pensa due volte. Forse, se il presidente avesse respinto pure il lodo e/o lo scudo, oggi non avremmo un premier corruttore impunito né uno Stato che ricicla denaro sporco. A pensar male si fa peccato ma spesso ci s’azzecca: non vorremmo che il capo dello Stato avesse dato un contentino ai critici respingendo una legge che non riguarda B., e ora si preparasse a promulgare tranquillamente quella molto più indecente che salva B. dai processi: il “legittimo impedimento” varato a metà marzo e ancora appeso al Quirinale causa elezioni. Perché questa non è solo una legge che può piacere o meno per motivi di eterogeneità, complessità e problematicità. E’ certamente e palesemente incostituzionale. Lo dicono presidenti emeriti della Consulta come Valerio Onida. Lo ammette l’onorevole difensore del premier Pietro Longo: “Il legittimo impedimento finisce alla Corte”. E l’ha già detto in due sentenze la Consulta. Nel 2001, pronunciandosi sugli impedimenti di Previti, affermò che “l’esigenza di celebrare i processi in tempi ragionevoli e quella di assicurare un corretto assolvimento dei compiti istituzionali hanno pari rango costituzionale” e spetta al giudice, non certo all’imputato, assicurare un giusto bilanciamento fra le due istanze. Nel 2008, fulminando il lodo, definì “irragionevole e sproporzionata” la “presunzione legale assoluta di legittimo impedimento” dovuta esclusivamente dalla carica ricoperta: gli impedimenti per le alte cariche valgono “solo per lo stretto necessario”, “senza alcun meccanismo automatico e generale”; e cassò la norma immunitaria fatta con legge ordinaria. Ora, il legittimo impedimento per il premier e i ministri è automatico per ben 18 mesi ed è stato imposto con legge ordinaria. Quindi ora Napolitano smentirà i malpensanti e, dopo la legge sul lavoro, boccerà a maggior ragione anche quello. O no?
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In poche parole, un’altra Caporetto di Marco Travaglio
Mentre il Pdl di Menomalechesilvioc’è perde 8,5 punti in un anno e tocca il minimo storico, la Lega lo asfalta al nord e Fini può rivendicare i successi in Lazio e Calabria con i suoi Polverini e Scopelliti, soltanto il vertice del Pd poteva trasformare la débâcle berlusconiana in una Caporetto del centrosinistra (fra l’altro, scambiata per una vittoria). Bersani, cioè D’Alema e i suoi boys (almeno quelli rimasti a piede libero), ce l’han messa tutta per perdere le elezioni più facili degli ultimi anni e, alla fine, possono dirsi soddisfatti. In Piemonte hanno candidato una signora arrogante e altezzosa, bypassando le primarie previste dallo statuto del Pd per evitare di dar lustro al più popolare Chiamparino e riuscendo nell’impresa di consegnare il Piemonte a tale Cota da Novara per solennizzare degnamente il 150° dell’Unità d’Italia. A Roma, la città del Papa, hanno subìto la candidatura dell’antipapista Bonino per mancanza di meglio (il meglio ce l’avevano, Zingaretti, ma l’hanno nascosto alla Provincia per evitare che, alla tenera età di 45 anni, prendesse troppo piede), poi l’han pure lasciata sola per tutta la campagna elettorale. In Campania, calpestando un’altra volta lo statuto, hanno sciorinato un signore che ha più processi che capelli in testa perché comunque era “un candidato forte”: infatti. In Calabria han ricicciato un giovin virgulto come Agazio Loiero, che quando ha perso come tutti prevedevano si è pure detto incredulo, quando gli sarebbe bastato guardarsi allo specchio. Non contenti, questi professionisti del fiasco, questi perditori da Oscar le hanno provate tutte per fumarsi anche la Puglia, candidando un certo Boccia che perderebbe anche contro un paracarro, ma alla fine hanno dovuto arrendersi agli elettori inferociti e concedere le primarie, vinte immancabilmente dal candidato sbagliato, cioè giusto. Hanno inseguito il mitico “centro” dell’Udc, praticamente un centrino da tavola all’uncinetto, perché “guai a perdere il voto moderato”. Infatti gli elettori sono corsi a votare quanto di meno moderato si possa immaginare: oltre a Vendola, i tre partiti che parlano chiaro e si fanno capire, cioè Lega, Cinque Stelle e Di Pietro. Altri, quasi uno su due, sono rimasti a casa o han votato bianco/nullo, curiosamente poco arrapati dai pigolii del “maggior partito dell’opposizione” e dal suo leader, quello che “vado al Festival di Sanremo per stare con la gente” e “in altre parole, un’altra Italia”. Se, col peggiore governo della storia dell’umanità, l’astensionismo penalizza più l’opposizione che la maggioranza, un motivo ci dovrà pur essere. L’aveva già individuato Nanni Moretti nel lontano febbraio 2002, quando in piazza Navona urlò davanti al Politburo centrosinistro “con questi dirigenti non vinceremo mai”. Sono gli stessi che sfilano in tutti i salotti televisivi, spiegando che la Lega vince perché “radicata nel territorio” (lo dicono dal 1988, mentre si radicano nelle terrazze romane o si occupano di casi urgentissimi come la morte di Pasolini) e alzando il ditino contro Grillo, che “ci ha fatto perdere” e “non l’avevamo calcolato”. Sono tre anni che Beppe riempie le piazze e li sfida su rifiuti zero, differenziata, no agli inceneritori e ai Tav mortiferi, energie rinnovabili, rete, acqua pubblica, liste pulite, e loro lo trattano da fascistaqualunquistagiustizialista. Bastava annettersi qualcuna delle sua battaglie, sganciandosi dal partito Calce & Martello e dando un’occhiata a Obama, e lui nemmeno avrebbe presentato le liste. Bastava candidare gente seria e normale, fuori dal solito lombrosario, come a Venezia dove il professor Orsoni è riuscito addirittura a rimpicciolire Brunetta. Ma quelli niente, encefalogramma piatto. Come dice Carlo Cipolla, diversamente dal mascalzone che danneggia gli altri per favorire se stesso, lo stupido danneggia sia gli altri sia se stesso. Ecco, ci siamo capiti. Ce n’è abbastanza per accompagnarli, con le buone o con le cattive, alle loro case (di riposo). Escano con le mani alzate e si arrendano. I loro elettori, ormai eroici ai limiti del martirio, gliene saranno eternamente grati.